L’unione ciclistica internazionale sembra voler mettere fine al malcostume del lancio di borracce ad opera dei ciclisti professionisti durante le gare, per ragioni di sicurezza, ma anche per una svolta ecologica. “Gettare borracce e altra spazzatura sulla strada non è più accettabile”, così l’UCI. Dal 1° aprile i trasgressori saranno multati. Gli appassionati di ciclismo che hanno a cuore la natura assistono da sempre con angoscia al gesto iconico dell’atleta che lancia la borraccia a bordo strada, con regale prepotenza, costume consolidato e tollerato in nome di una tradizione che vede nel corridore che lancia e nel tifoso che raccoglie la borraccia il fascino di uno sport che elargisce cimeli e souvenirs, che fa toccare al popolo i suoi campioni, il divo che si concede al fan. La borraccia è “un gesto d’altruismo, il dono che il ciclismo fa ai suoi fedeli“ (Mario Soldati).Altri tempi. Oggi chi ama andare in bicicletta sa bene, perché la fatica fisica e la libertà nella natura sono l’essenza di questo sport, che il rispetto della natura viene prima delle religioni. Le borracce, e con essa i molto meno affascinanti involucri di barrette o tetrapak di gel dispersi a piene mani, rimangono pur sempre spazzatura, di campioni o più frequentemente di sconosciuti gregari, spazzatura che finisce nei prati, nei seminativi, in fondo alle scarpate, in boschi e pinete, destinata a convogliare nei fiumi e nei mari. Le borracce sono prosaicamente rifiuti abbandonati, sotto l’occhio delle telecamere e del mondo, che nessuna amministrazione comunale codardamente sanziona. Gli dei hanno leggi differenti dai comuni mortali. Il lancio della borraccia resta esempio di maleducazione, tanto più pericoloso quanto operato dai beniamini del pubblico, esempi da imitare, che diffondono un modello di natura subalterna, schiava, pattumiera di ogni peto umano.
160° Unità d’Italia, 19 marzo 2021, Beretta Roberto Claudio