Lo scorso primo febbraio l’esercito birmano, chiamato Tatmadaw, ha preso il potere attraverso un colpo di stato in seguito alle elezioni di novembre che videro la Lega nazionale per la democrazia (Nld), guidata da Aung San Suu Kyi, vincere oltre l’83% dei seggi in palio. La vittoria del partito è stata messa in discussione dall’esercito che ha denunciato brogli ed irregolarità delle elezioni, sebbene gli elettori abbiano avuto la possibilità di esprimere liberamente la loro preferenza e di scegliere i loro rappresentanti. Dopo una serie di negoziazioni, che non sono servite a diminuire la tensione tra il governo civile e l’esercito, il giorno in cui si sarebbero dovute aprire le sessioni parlamentari il Tatmadaw, guidato dal generale Min Aung Hlaing, ha bloccato l’accesso al governo e arrestato alcuni importanti esponenti del Ndl tra cui la leader Suu Kyi.
La repressione dei governi democratici e dei movimenti filodemocratici da parte di golpe militari non è storia nuova in Birmania. L’esercito ha infatti governato senza interruzione a partire dal golpe del 1962 e rafforzato ulteriormente il suo potere con il colpo di stato dell’88, anno in cui venne modificata la costituzione per proteggere il Tatmadaw e la sua posizione centrale in politica. Nel 2015 la vittoria dell’esecutivo del Nld ha permesso un’apertura in Birmania ad un governo civile di respiro democratico malgrado l’esercito non abbia davvero abbandonato la scena politica. Un quarto dei seggi del parlamento, infatti, sono riservati ai funzionari militari che hanno anche diritto di veto sui progetti e Il capo dell’esercito può, grazie alla costituzione, nominare il ministro della difesa (che è il suo capo) e controllare la polizia, i servizi di intelligence, le guardie di frontiera e le forza armate.
I governi militari negli anni hanno ridotto le espressioni di libertà democratiche, negando quelli che sono i diritti civili di manifestazione reprimendoli attraverso forme di controllo militare e conservando la maggior parte dei poteri politici anche nel 2016 durante una transizione quasi democratica.
L’esercito ha non solo violato i diritti civili, politici e umani dei cittadini birmani ma nel 2016 è stato anche accusato dall’Onu di genocidio e crimini contro l’umanità nei confronti dei musulmani rohingya e di altre minoranze etniche. La popolazione birmana, tuttavia, è decisa a non abbandonare questi cinque anni di governo democratico per tornare ai tempi oscuri della morsa militare: martedì due febbraio nella città di Yangon molti cittadini sono scesi in piazza, dopo che gruppi di attivisti per la democrazia hanno sollecitato la popolazione a manifestare pacificamente. Il giorno seguente il personale sanitario di 70 ospedali in 30 città birmane ha scioperato contro il colpo di stato militare protestando con il saluto a tre dita, gesto che si è diffuso tra gli anti-golpisti thailandesi per simboleggiare libertà e democrazia (tratto dalla saga Hunger Games). Questi movimenti della popolazione ci fanno sperare che forse, questa volta, un ritorno giunta militare sia più difficile ma impossibile senza una reazione da parte della comunità internazionale.
Grazie soprattutto all’azione dei gruppi non governativi (ong) che si occupano di diritti umani alcuni investitori esteri hanno interrotto la collaborazione commerciale, che era iniziata con il governo di Suu Kyi, con l’attuale governo militare. Questo è un importante passo per sollecitare il ritorno ad un governo democratico, noi nel nostro piccolo possiamo parlarne, diffondere le notizie e non ignorare un altro attacco alla libertà politica e civile della popolazione birmana.
160° Unità d’Italia, 12 Aprile 2021, Chiara Di Ninno
(*) Fonti: Internazionale, Il post, Economist